giovedì 29 dicembre 2011

La mosca di Rousseau

Incipit di un romanzo inedito di Meeten Nasr

Capitolo I

Sera del 1° settembre 1976
Intanto che ne è del progetto di una autobiografia? La risposta che subito mi si affaccia è: primum vivere. Ma andrebbe anche fatta qualche riflessione più seria, senza farsi disturbare dal telefono o dagli amici ma soprattutto senza farsi turbare dalle fobie, dai desideri, dal timore di essere abbandonati. E ciò potrà avvenire solo quando la riflessione stessa diventerà il senso di sé, la compagnia desiderata, l’amante totale.

3 settembre 1976
Ripenso alle varie peripezie e alla crisi che il mese scorso, passato a Londra con Angela (mia attuale compagna) ha generato: lacerazioni, dubbi, regressioni che hanno vanificato ogni tentativo di stabilire fra noi rapporti di affetto e di studio, di aiuto reciproco, almeno. Impossibile reprimere la ripetizione di quei gesti di difesa che alla fine terminavano in un rinnovo di angosciosa instabilità. Inizio così oggi a scriverne su questo quaderno, spero con continuità.

6 settembre 1976
Ieri a Venezia ho avuto occasione di vedere una fotografia di Sara (mia figlia) che spegneva sette candeline, il 23 giugno scorso. Vola il tempo e fuggon gli anni, diceva il Petrarca. Invece l’incontro con Antonio detto “il professore” (che mi ha dato utili e armoniche indicazioni di testi storici sulle varie rivoluzioni nei Balcani assieme a brevi note sulla Grecia di oggi) ha calmato questo flusso.
Nulla dies sine Freud” - mi dicevo - apprezzando con quale eleganza e lucidità dal solido positivismo della Traumdeutung, l’interpretazione dei sogni, egli sia poi giunto alla metapsicologia, ai campi aperti del mito e dell’arte e agli imbarazzanti rapporti con la cosa in sé, cioè la società divisa in classi.
Nulla di nuovo, però!

12 marzo 1977
Ricomincio il tentativo di instaurare un dialogo con queste pagine come fosse un certo guardarsi nello specchio, con sprezzo inevitabile del linguaggio colto. Tanto di guadagnato per l’immediatezza, di cui avrei tanto bisogno. Soprattutto sento il bisogno to go ahead fluently, cioè di aggirare le pretese di formare discorsi che implicano responsabilità personali. Chissà che da qui non nasca invece qualche topolino o un po’ di autocoscienza sulle qualità del roditore. Ma fluently non vuol dire trionfo della casualità, prepotenza della parola sull’idea. L’importante sarebbe non mollare, andare dritti, ostinati, incaponiti dietro la propria labile traccia di felicità, di piacere.
La mia è però una lotta su due fronti: da un lato dovrei fare ciò che mi realizza coscientemente, dall’altro dovrei armare la coscienza contro gli attacchi del super-io, cioè spezzare quel nesso per cui vengo sospinto verso imprese che, per principio, non possono realizzarsi. Per esempio, essere amato.

15 marzo 1977
Ho finito di leggere, tornando ieri di notte in treno da Venezia, il romanzo di Guido Morselli, Dissipatio H. G. pubblicato da Adelphi. Ho sentito il bisogno, forte e chiaro, di mettere per iscritto qualche nota, un giudizio che servisse a serbare in me qualcosa di questo bel libro, del mio tempo impiegato nella lettura, dei sentimenti che esso ha suscitato ed evocato.
La dissipatio – cioè la scomparsa istantanea dell'umanità, degli esseri umani, di tutto il mondo umano, immaginata da Morselli - è un sogno il cui pensiero latente è il cupio dissolvi del sognatore. E’ cioè l’anticipazione del suo annunciato suicidio desiderato e/o temuto; ma lo scrittore è così “vizioso” (assurdamente, infantilmente) da rinviare l’atto del suicidio per godere lavorando letterariamente a un’opera che surroga la sua stessa esistenza e la sua storia.
Comunque nella scrittura Morselli non raggiunge alcuna sublimazione, anzi fa un passo ancora verso l’interno del proprio male oscuro. Ma qui il donnerwort (cioè l'arrivo del convitato di pietra che bussa giù al portone) è ridicolizzato, infantilizzato dalla paradossale autoesclusione del martire (cioè dal fatto che l’io narrante sia, stranamente, l’unico superstite della dissipatio) ma anche dalla scomparsa di ogni possibile futuro lettore.
Poi, però, più tardi, nel tempo reale della scrittura e dopo aver raggiunto un numero di pagine adeguato, il racconto s’interrompe per lasciare spazio all’effettivo suicidio dell’autore, ma il libro è ormai stato scritto e forse anche già pubblicato. And that is enough.

20 marzo 1977
Non proprio tutti i giorni possono trovare qui un’eco che diventi linea, rigo scritto. Ma oggi, dopo una pausa tormentata in cui mi sono spinto innanzi verso un ideale di isolamento e di riduzione all’essenzialità e al rigore, torno – senza slancio, come fosse un dovere – alle pagine ancora bianche e in attesa.
Il tema sembra dunque oggi quello di individuare un tipo di intellettuale in cui io possa riconoscermi. E’ come essere giunti a un bivio. Non a caso penso a personalità letterarie di un titanismo fratturato, come Foscolo o Leopardi (il secondo già più reale del primo, quindi ancora più fragile e degradabile). Ma non è davvero qui che vorrei arrivare!
Oggi c’è una griglia (la psicoanalisi, evocata e invocata dalla mia nevrosi) che si è frapposta fra me e la mia storia, il mio passato e lo reinterpreta continuamente, incessantemente. Da qui certi sintomi di scissione dell’io di cui ho cominciato a soffrire e che temo.

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