mercoledì 28 dicembre 2011

NITA (tm)

Prima parte di un lungo racconto di Carlo Cenini apparso sul n 55 di Nuova prosa


“perciò creiamo seconde nature, false testimonianze”
Massimo Rizzante, Rapporto dal regno di Fiandra


Guardando le fotografie agli atti del processo, sulle prime uno potrebbe scambiare il laboratorio per il salone di un parrucchiere per signora, questo per via dei grossi caschi e delle poltrone regolabili su cui sono sistemati i tester/vittime (ossia, “tester” ovvero “game-tester” secondo la difesa, “vittime” secondo l’accusa; dato che durante tutto il processo la giuria, per non dare l’impressione di essere già incline a dar ragione all’una o all’altra parte, ha usato la formula “tester/vittime”, tale formula è rimasta tuttora per [evitare di] definire il particolare statuto, legale e/o “lavorativo”, dei soggetti in questione o, secondo bischizzato dal dottor T*** B*** alla fine del processo, “i soggetti in oggetto”); nella fotografia catalogata al n. 14, in particolare, i tester/vittime sembrano solo un gruppo di persone che si fa la permanente, o almeno lo sembrano fino a quando non si notano i ferri chirurgici disposti in bell’ordine sul tavolo operatorio, il tavolo operatorio stesso, l’assenza totale di specchi e cosmetici, i macchinari per la decodifica dei flussi linguistici che escono da ulteriori macchinari che potrebbero essere descritti come sismografi o meglio elettroencefalografi o (e dopotutto forse è quest’ultimo il paragone più azzeccato, anche se sia la difesa che l’accusa, ciascuna per motivi differenti, si sono astenute dall’avanzarlo durante il processo) macchine della verità.
La figura in camice bianco in alto a sinistra nella fotografia al n. 4 è stata identificata come il dottor T*** B***; per la verità il profilo è quasi di spalle, e in ogni caso la bassa definizione della fotografia non permetterebbe di identificare in modo convincente la figura, ciononostante lo stesso dottor T*** B*** non ha avuto difficoltà a riconoscere di essere proprio lui la persona che, nel momento in cui la fotografia è stata scattata (forse qui è bene precisare che in effetti non si tratta di una vera e propria fotografia: il n. 4 è semplicemente uno dei fotogrammi di una ripresa effettuata da una delle quattro telecamere posizionate nel laboratorio, donde la bassa qualità dell’immagine) sta girando alcune manopole posizionate sul casco di uno dei tester/vittime, la cui bocca spalancata e gli occhi chiusi potrebbero far pensare che il tester/vittima in questione stia sbadigliando, non fosse che le mani stanno a quanto pare artigliando i braccioli della poltrona da barbiere (alcune fotografie portate come prova - ma a ben vedere non è affatto chiaro di cosa siano o vogliano essere prova - dall’accusa mostrano che le poltrone erano davvero autentiche poltrone da barbiere, vecchie poltrone anni ’50 in pelle marrone con la base in ceramica smaltata, con tanto di leve idrauliche per regolare posizione e altezza, poggiapiedi di ferro e poggiatesta sostituibile dal piatto per lo shampoo; l’unica modifica apportata da T*** B*** ovvero dalla sua equipe ai modelli originali da barbiere sono le cinghie per impedire movimenti bruschi ai tester/vittime durante le sessioni di gioco e naturalmente i caschi, che esaminati da vicino non sono affatto simili a dei caschi per la messa in piega; piuttosto, in effetti, nell’insieme, con i caschi e le cinghie e tutto, le poltrone sembrano un tipo particolarmente confortevole - dopotutto con queste foto la difesa voleva forse creare un ulteriore effetto o alone negativo intorno a tutto il laboratorio, alone che però, con i due suicidi e i quattro ricoveri d’urgenza che già contribuivano a rendere abbastanza sinistra tutta la faccenda legata a NITA™, ha finito per risultare pleonastico e quindi forse dannoso - un tipo chiamiamolo così deluxe di sedia elettrica) ma la qualità dell’immagine è davvero talmente cattiva che, cinghie o non cinghie, in coscienza nessuno è stato in grado di dire se si trattava di uno sbadiglio o di un grido, né tantomeno di capire se le mani stavano davvero artigliando i braccioli. Una cosa è il colpo d’occhio, una cosa è una prova processuale.
Altre foto ritraggono i due locali (la stanza di un piccolo albergo a Varsavia e la casa giocattolo di legno di un parco giochi, sempre a Varsavia) in cui sono stati ritrovati i corpi dei due tester/vittime. Allegate alle fotografie, ci sono le due brevissime descrizioni di NITA™ redatte dai due tester/vittime poco prima di togliersi la vita.
Descrizione di NITA™ numero 1 (dalla stanza del piccolo albergo): “Donna disperata tutta nervi punta un ferro da calza verso di me gli occhi del colore del cielo riflesso nel fango.”
D.d.N. n. 2 (dalla casa giocattolo): “Corpo nero e tozzo come quello di una vecchia comare in riva al mare il cui volto è in realtà una falce d’acciaio e che contro la luce del sole sembra una maschera veneziana o un pinguino mutante con gli occhi di fango.”
Com’è noto, le due descrizioni dei tester/vittime (per quanto brevi, piuttosto sconcertanti, in particolare la d.d.N. n. 2 - riportata qui verbatim -, quando si consideri che il tester/vittima che l’ha compilata aveva solo nove anni) non sono le uniche descrizioni di NITA™ di cui si dispone: oltre ai grafici del laboratorio di T*** B***, con i quali l’equipe di T*** B*** ha cercato di risalire al codice originario di NITA™ prima che venisse decrittato e quindi irrimediabilmente compromesso e cancellato dalle “macchine della verità” (il nome dato da T*** B*** alle “macchine della verità”, ovvero il nome che T*** B*** avrebbe voluto dare alle macchine qualora il videogioco SHERWOOD® avesse superato la fase cosiddetta bravo di collaudo - nota: tradizionalmente le fasi finali di collaudo di un videogioco vengono distinte in alpha e beta, beta indicando la fase terminale, quella in cui il videogioco può essere considerato quasi definitivamente pronto per il lancio sul mercato, e nella quale vengono spesso utilizzati anche tester volontari; la fabbrica di giocattoli produttrice di SHERWOOD®, tuttavia, per un suo vezzo/velleità di eccentricità/eccellenza preferisce utilizzare l’alfabeto fonetico radiotelegrafico, distinguendo perciò le due fasi in alpha e bravo -- occorre qui aggiungere che i protocolli del collaudo di SHERWOOD® fanno esplicito riferimento, per quanto riguarda i test su NITA™ e la nuova versione depotenziata DAIMON™, ad una non meglio specificata e inedita “fase charlie”, che secondo la terminologia “standard” delle fabbriche di giocattoli corrisponderebbe quindi ad un’altrettanto inedita “fase gamma” --- a questo proposito, uno dei risultati più importanti del processo a T*** B*** è stato l’emergere dell’urgenza di una precisa regolamentazione delle varie fasi di sperimentazione di videogiochi, in particolare della nuova generazione di videogiochi a tecnologia quantistica come appunto SHERWOOD® --- -- - il nome che T*** B*** avrebbe voluto, vale a dire, vorrebbe dare alle macchine della verità è SCRIBA™, nome che accanto a quello del nuovo programma di scrittura automatica DAIMON™ evidentemente intendeva ovvero intenderebbe creare una rete di riferimenti vari alla storia o all’arte antiche, né è stato possibile accertare se fosse stata o no prevista una linea di accessori per il videogioco dotati di nomi di analoga ispirazione --- su questo punto il trust di ditte messicane e cinesi che controlla la fabbrica di giocattoli produttrice di SHERWOOD® mantiene, per un qualche suo non rivelato motivo, il più evasivo riserbo permesso dalla contingenza attuale), sono state lette al processo altre descrizioni di NITA™ redatte dai tester/superstiti (il numero esatto nonché l’identità di queste persone, attualmente in cura/osservazione presso un non meglio precisato ReCoPerCa (Reparto Consulenza Perduta Calma) all’interno di uno degli stabilimenti della fabbrica di giocattoli, non sono stati resi noti, in conformità alle richieste della gran parte dei familiari dei tester/superstiti stessi), nessuna delle quali descrizioni tuttavia sembra esaurire in modo soddisfacente le caratteristiche di NITA™, e questo non tanto per l’incapacità di chi ha stilato le descrizioni di raggiungere una ragionevole completezza, quanto perché capita che tra una descrizione e l’altra appaiano caratteristiche che sarebbero incompatibili o perlomeno paradossali se venissero semplicemente sommate allo scopo di ottenere un’unica e più esaustiva descrizione, senza contare che in una di queste altre descrizioni NITA™ non è nemmeno un essere umano, bensì un cervo orribilmente deturpato da una specie di cancro o parassita che gli pende da un fianco. L’accusa ha ottenuto la lettura pubblica quasi integrale di un documento riservato della fabbrica di giocattoli risalente alla fase alpha del collaudo, nel quale sono riportate alcune delle descrizioni di NITA™, estrapolate a gran fatica dall’intrico verbale emesso dai tester/superstiti in seguito all’esposizione a SHERWOOD® e accolte durante il processo come prova a carico degli imputati; il documento aiuta a farsi un’idea da un lato dell’eterogeneità delle varie descrizioni, dall’altro della loro monotonia:
“... (omissis) ...
D.d.N.: Corpo aspro, misteriosamente se si tiene conto che è decrepita, fianchi non sbocciati, gli occhi del colore del cielo riflesso in una fontana o in uno stagno torbido, del tutto incoscienti del terrore di animale delirante ... (omissis) ... L’apparenza fragile come un’ala di farfalla, tanto che ti aspetteresti di vedere i suoi tratti sbriciolarsi in frantumi di polvere colorata, lasciando nient’altro che uno scheletro trasparente e sottilissimo, una cartilagine asimmetrica e labirintica come le ragnatele delle vedove nere.

D.d.N.: La sua famiglia possiede da che mondo è mondo un forno per il pane, prova, se mai di prove ci fosse stato bisogno, che lei stessa è stata messa insieme nelle alte temperature del forno, la punta delle dita e il bordo così tagliente dei denti appaiono infatti come bruciacchiati! La pelle bianchissima e i denti leggermente all’indentro come quelli di un qualche pesce centroamericano o di una maschera da gatto, di un sacrestano di fango.

D.d.N.: Quando è stanca è come se la faccia le scendesse un po’ più giù del cranio, lasciando trapelare il trucco, il cigolio del meccanismo di ferro che controlla le sue espressioni, gli sbuffi delle pompette di liquidi di vario colore che miscelando le ampolline simulano i riflessi del sole o delle stelle negli occhi di fango azzurro.

D.d.N.: Le mani come pallidi crostacei la cui corazza sia in fase di muta, deboli ragni tropicali, stelle marine infette.

D.d.N.: Sembra che al posto del sangue abbia delle creme o dei confetti o tutt’e due, pan di spagna intriso di liquori, i suoi occhi dischi di zucchero da succhiare.

D.d.N.: Da lontano sembrava una maschera veneziana, questo per via della falce che sporgeva di tra le spalle coprendo gran parte della testa, il corpo come il becco di un pinguino mutante.

D.d.N.: ... (omissis) ... un cervo magrissimo, vestito da arlecchino.

D.d.N.: Una minuscola regina le cui forme sono dissimulate da un abito decorato a complessi ghirigori colorati che ricordano quelli di un tappeto persiano. Visto un po’ più da lontano il corpo della regina appare come il volto di un vecchio, i ghirigori un tatuaggio che gli copre tutta la faccia.

D.d.N.: [... omissis ... stavolta per amore di brevità: una complicatissima descrizione di una Natività, o almeno così era sembrato sino a che il bambino tenuto in braccio dalla presunta Vergine non si fu rivelato un pupazzo per ventriloqui].

D. d. N.: Un cielo perfettamente azzurro nel quale le nuvole si sfaldano come schiuma riassorbita nelle onde. Le rondini galleggiano come ritagli di carta e la creatura, bianchissima e talmente magra da essere ridotta a della pelle accartocciata contro uno scheletro dalla forma indescrivibile, un oggetto d’arredamento in stile Wunderkammer, o meglio un pezzo “segreto” della Wunderkammer, il cosiddetto Wunderhole, uno di quei pezzi tenuti nascosti sotto i tappeti o dentro i doppi fondi dei cassetti, pupazzetti di spugna grigia (forse i più tipici tra i Wunderhole) pozzi dove gigantesche mongolfiere viventi sollevano il visitatore con i loro tentacoli fatti di assicelle di legno tenute insieme da cordicelle e vecchie chewing-gum, meccanismi che in effetti simulano la vita, certamente simulano la vita, non può essere altrimenti, grazie a un complicato sistema di eliche azionate dal vento, in effetti dev’essere così, l’aggettivo “viventi” era sicuramente nient’altro che una fanfaronata da ciarlatano.

D.d.N.: Una pianta mutante cresciuta per caso dentro un bidone di plastica nera a Riva del Garda. I suoi rami rampicanti hanno una colorazione molto varia che ricorda quella degli stadi di maturazione del frutto del peperoncino. Alcune liane sono dotate di una certa mobilità (o forse sfruttano le correnti ascensionali), e le loro terminazioni di forma allargata funzionano come delle specie di piccole pale (ricordano le zampe delle oche); spostano lentamente la terra sopra le radici della pianta che in questo modo, grazie a ripetuti “scavi”, può arrivare a coprire distanze di circa 50 cm al giorno. Probabilmente questo sistema che potremmo definire semi-locomotorio aiuta la pianta a ottimizzare la propria posizione presso il bordo dei fiumi, suo habitat naturale, nel caso questi cambino corso.

D.d.N.: Ha un vestito viola nonostante la cui (del vestito) grandezza la contessa ne risultava strettamente fasciata e nello stesso tempo debordante.

D.d.N.: Bimba madida di febbre / Bimba bimba bimba / Febbre Febbre Febr-br-br-br-brrrrrr. Dev’essere rimasta intrappolata in quel cunicolo buio e umido per tanti di quei giorni. Si strofina con un pugno l’occhio sinistro, che in un angolo appare coperto di piccole croste di sporco e forse di parassiti. Fa un debolissimo colpo di tosse, afono, quasi un sospiro dalla bocca semiaperta, come se il suo stesso male, esausto per la prolungata clausura, ... (omissis) ...

D.d.N.: Bocche le aprono la bocca con le labbra, oppure serpenti attorcigliati.

D.d.N.: Pelle ruvida come la carta dei soldi. Fa lo stesso rumore, quando la tocchi. Bambola di carta. I denti possono tagliare. La lingua ha l’odore e il sapore del muschio, eppure sembra di poterla sfogliare, una pagina dopo l’altra come se fosse un libro, di poter schiacciare tra le sue pagine dei fiori o degli insetti per farli seccare. Soldicotone.

D.d.N.: Come una minaccia dei dettagli del paesaggio [... omissis ..., nuovamente per amore di brevità: la d.d.N. in questione, pur essendo senza dubbio una delle più interessanti e forse persino la più interessante tra quelle lette durante il processo, è tuttavia impossibile da recuperare per intero, sia per la sua - attuale - estensione, eccessiva per i limiti imposti a questa nota, sia perché di fatto tale d.d.N. è ancora incompleta in quanto il tester/vittima che ne è “autore” la sta ancora ultimando. Si tratta forse della manifestazione più estesa di NITA™, senza contare che è anche quella in assoluto più lontana dal mondo dumasiano (ma cfr. infra) cui l’apparente strega (cfr. infra) dovrebbe appartenere. In questa descrizione - la cui lettura forzatamente parziale durante il processo ha richiesto tre distinte sedute, l’ultima delle quali ha avuto una curiosa e, non fosse stato per l’affaticamento di tutti gli ascoltatori dopo tre giorni di lettura, tutto sommato divertente “coda di aggiornamenti”, ovvero piccoli foglietti e noticine inviati/estorti dal/al tester/vittima a corollario, a propria volta parziale, dell’incompleta descrizione - NITA™ si chiama CittàNeon ed è una specie di mostruosa installazione artistica cancerosamente invasiva di tubi luminescenti eseguita da un non meglio/non ancora specificato artista del neon. L’installazione CittàNeon guida l’osservatore attraverso un lungo percorso di tubi colorati che si accendono ad intermittenza; se l’osservatore è sufficientemente immerso nella visione, i tubi di neon lo conducono, senza che riesca ad accorgersene, all’esterno del locale in cui è stata sistemata l’installazione; qui CittàNeon si confonde in modo quasi virale con le insegne luminose della vera città, moltiplicando o azzerando le prospettive, alterando la mappa della città vera e raddoppiandola come una bruciatura o un’ustione improvvisa; a volte i tubi curvano all’interno di abitazioni private, dove l’osservatore non può penetrare; nelle diramazioni principali, i tubi diventano veri e propri canali nei quali l’incandescenza attraversa il gas in modo imperfetto, come una lenta e ubiqua medusa di fuoco. L’intermittenza della luce è quella che spinge l’osservatore nelle direzioni desiderate, creando delle semianimazioni piuttosto complesse che in qualche modo ricordano - questo beninteso secondo il tester/vittima autore della d.d.N. - le insegne dei locali a luci rosse, un labirinto di figure luminose che popola la città reale e che, tale sembra il fine dell’opera, forse è la città stessa. Alcuni degli spettatori dell’installazione (o forse semplici passanti, ma distinguere tra le due categorie non è di fatto possibile) per errore o di proposito hanno danneggiato alcuni tubi, che ora pendono rotti o scheggiati, la regolarità dell’intermittenza gravemente compromessa, il ronzio della traboccante elettricità come nugoli di mosche; procedendo da una figura luminosa all’altra, l’osservatore si ritrova infine all’estrema periferia della città reale e da ultimo in un bosco, dove il neon si spegne definitivamente, non rimanendo che una tenuissima palpitazione opaca.) Canali di neon scorrono lungo le strade incendiandosi alternativamente e, a seconda del numero di intermittenze o delle intersezioni con altre reti di tubi, CittàNeon diventa un presepe ... (omissis) ..., un porcile (... omissis ... -- La descrizione di giganteschi maiali di neon occupa più di cinquanta pagine degli atti processuali), una scacchiera carnivora, una manta smisurata di cui si individuano a malapena le ali come galassie che marciscono tra il fogliame, il sorriso di pescecane mutante, i denti ricurvi come miriadi di lune calanti. CittàNeon lascia nell’occhio dell’osservatore una traccia abbagliante, una carne luminosa che infetta la retina e da quel momento resta sospesa davanti alla vittima come un ingombro accecante e malfermo sul punto di crollarle addosso.

D.d.N. [Letta dalla difesa in una delle fasi finali del processo e presentata come una “Lettera di NITA™ dalla quarantena [cfr. infra] di SHERWOOD®”, si tratterebbe del risultato di una “infettazione” particolarmente distruttiva degli algoritmi costituenti il personaggio di Lady Marian, cui la stesura di questa “lettera”, naturalmente sotto l’influsso della “strega del piscio” (cfr. infra) NITA™, è stata attribuita, nonostante sia, almeno a detta del comitato stilistico-narratologico (cfr. infra), “quanto di meno dumasiano, né tampoco stendhaliano, se è per questo (cfr. infra), e men che meno robinudiano, si possa desiderare”; T*** B*** afferma sia stata la lettura della d.d.N. che segue la prima scintilla che ha spinto lui e la sua equipe ad iniziare a lavorare al progetto DAIMON™]:

Lettera di NITA™ dalla quarantena di SHERWOOD®

“La cosa peggiore era che non conoscevo nemmeno una parola della lingua dei miei aguzzini. Dopo tutte quelle ore di prigionia sulla piattaforma, continuamente respinta dal cordone di marinai e operai che si prendevano gioco di me e dei miei assalti, ero caduta in una specie di trance isterica, e anch’io a mia volta ridevo, come se quella situazione fosse un gioco e non una trappola. Era strano pensare che probabilmente sarei morta lì. Mi spintonavano con modi gentili, senza mai farmi male, proprio come se fosse solo un gioco, ma sapevo bene che non mi avrebbero mai liberato. Ridevo forte. C’erano anche delle donne insieme agli operai: avevano costumi tradizionali, di colore giallo scuro, e dopo un po’ sostituirono completamente gli uomini. Le donne si raccolsero in cerchio intorno a me, senza mai smettere di spintonarmi; mi lanciavano chicchi di riso. Gli uomini erano scesi sotto la piattaforma, e potevo sentirli cantare attraverso le lamiere. Poi il cerchio di donne si strinse intorno a me in modo tale che non potevo più andare da nessuna parte, bloccata da tutte quelle mani e quei volti tranquilli e implacabili; tuttavia non riuscivo a tener ferme le gambe, e così mi ridussi ad eseguire una specie danza fatta solo di corti e rapidissimi passetti sul posto. Una ragazza infilò un piede sotto i miei piedi che continuavano a pestare all’impazzata; non so; stavo calpestando il piede della ragazza, ma lei sembrava non sentire nulla, anzi, si sdraiò e, senza alcuno sforzo, alzò la gamba, con me che continuavo a danzare in quel modo inaudito sulla punta del suo piede sollevato. Sconvolta dalla stanchezza e da quello che mi stava accadendo, pensai che forse il mio peso, passando tanto rapidamente da un tacco all’altro, si era in qualche modo sospeso a mezz’aria senza più ricadere come la sfera in più dei giocolieri: ecco perché la ragazza riusciva a tenermi così sulla punta del piede. Come se volesse farmi capire quello che stava succedendo, una donna avvicinò la sua faccia contro la mia (aveva un alito che sapeva di aglio) e disegnò nell’aria la forma di una scarpa. Da sotto, come da molto lontano, sentivo sempre il canto degli uomini. Dalla punta del piede passai su un cembalo, tenuto in mano da una delle donne più anziane; anche lei mi tenne, sospesa sul cembalo, senza alcuno sforzo; il cembalo suonava sotto i colpi dei miei piedi, e questo era tutto: la donna teneva il braccio teso davanti a sé, come se indicasse l’orizzonte; teneva in mano il cembalo, e io stavo danzando in piedi sul cembalo. Continuavo a danzare perché sapevo che nel momento in cui avessi smesso, il mio peso avrebbe schiacciato il cembalo e rotto il braccio della donna che mi teneva in quell’equilibrio precario e illogico. La donna iniziò a ruotare il cembalo, ed io facevo mille sforzi per restare in equilibrio, come i boscaioli canadesi che attraversano i fiumi correndo all’indietro sui tronchi che galleggiano. Mi piaceva il suono del cembalo. Mi faceva venire in mente uno spettacolo di marionette di latta che avevo visto da bambina, in Africa. Poi la donna si sporse oltre il parapetto. Tutte le altre mi lanciavano dei chicchi di riso; a volte passavano dei gabbiani e prendevano i chicchi al volo. Gli uomini cantavano. Pensai che prima di essere gettata in mare avrei voluto provare ad eseguire quella danza sopra dei gusci d’uovo senza romperli. Lontano, in basso, sotto il cembalo che continuava a vibrare sotto i colpi dei miei tacchi, potevo vedere le spume delle onde, come tanti enormi sorrisi.”

(Fine delle dd.d.N.)

Contrariamente al pubblico del processo (inclusi il giudice e gli avvocati) T*** B*** e la sua equipe non hanno mostrato alcuno stupore per le evidenti discrepanze tra le varie descrizioni di NITA™ (alcuni membri del comitato linguistico-stilistico - cfr. infra - hanno cercato di compilare un’analisi delle “costanti narrative e stilistiche” presenti nelle varie descrizioni; tale analisi, forse degna di nota per la sensibilità critica e l’erudizione dispiegate, è tuttavia risultata del tutto inutilizzabile sia dal punto di vista legale che da quello informatico): “NITA™”, così ha detto T*** B***, “in effetti è diciamo una creatura, possiamo dire che NITA™ è una creatura, ma per di più ovvero per di meno una creatura quantistica nata al di fuori di qualsiasi tipo di controllo, un bug quantistico se si vuole, ed è già stupefacente il fatto che descrizioni tanto disparate possano comunque essere ricondotte ad un’unica entità, e per di più un’entità vivente, e sia pure vivente in modo fittizio, e in questo senso [qui non è chiaro a quale “senso” si stia riferendo T*** B***] è certamente del massimo interesse questo dettaglio degli occhi del color del fango, che sembra ritornare da una descrizione all’altra, eccettuata certo quella del cervo [e anche quella di CittàNeon; quantunque non siano state lette al processo, inoltre, T*** B*** ha dato notizia di altre dd.d.N. nelle quali compare costantemente un dettaglio del paesaggio rappresentabile come “una crosta di roccia - così, citando a memoria, T*** B*** - che, per chi la guarda da lontano, sporge dalla foresta come un enorme e sottile guscio d’uovo dischiuso cui la trasparenza ranciata dal sole versa l’ombra del rettile o dell’uccello o dell’insetto che ne è nato”]; comunque sia, una creatura come NITA™ non può che essere descritta in maniera del tutto imparziale e incompleta, questa anzi può essere considerata la sua unica caratteristica essenziale (insieme forse appunto come ripeto agli occhi di fango [non sappiamo dire perché T*** B*** insistesse tanto su questi occhi di fango, che se pure ritornano in varie dd.d.N. tuttavia non sembrano nemmeno loro presenti in tutte le dd.d.N.]): il non avere caratteristiche omogenee al momento della propria manifestazione nelle diverse sessioni di gioco; all’inizio anzi una delle cose più difficili è stato appunto rendersi conto che i nostri tester erano incappati nello stesso bug, ovvero che le varie creature incontrate dai nostri tester nei punti più impensati di Nottingham o della foresta di Sherwood o dove che fosse erano riconducibili alla stessa diciamo inafferrabile matrice; l’idea che al momento stiamo portando avanti per cercare di comprendere e quindi isolare ovvero imbrigliare la pericolosità di NITA™ è che nella sua struttura interna - che peraltro ci è ancora in gran parte ignota - ci sia una sorta di diciamo “falla” attraverso cui le caratteristiche non omogenee con una determinata rappresentazione del personaggio “filtrino” a livelli subliminali nella rappresentazione stessa, innescando così una sorta di, come dire, cortocircuito ludico, ... (omissis) ... tale da far collassare la concentrazione del giocatore in un nodo di contraddizioni insostenibili ma nello stesso tempo non isolabili a livello conscio.”

[Giova qui ricordare che lo stesso nome Nita, del resto, non è che il più usato dei vari nomi (oltre a Nita l’equipe di T*** B*** ha potuto registrare: Ana, Anita, Anna, Susan, Susanita, Susanna, Susy, Suzan, Suze, Suzy, Zuzy) con i quali il personaggio è apparso nelle varie sessioni di gioco organizzate nella fase alpha, prima che il laboratorio di T*** B*** decidesse di deviare i collaudi unicamente sulla produzione di DAIMON™, una decisione dettata dal fatto che NITA™ appariva ancora più instabile e non controllabile di quanto già non sia (ovvero si suppone che non sia) DAIMON™.]

Nemmeno le ragioni del suicidio dei due tester/vittime, l’uno nella camera d’albergo e l’altro nella casa giocattolo di Varsavia, sono affatto chiare, e la discussione intorno a tali ragioni (all’esistenza o meno di tali ragioni) costituisce ovviamente la parte più corposa e ardua degli atti del processo a T*** B***, dato che proprio la decisione su quale fosse l’effettivo status (tester o vittima) dei due tester/vittime è stata determinante per decidere della colpevolezza o dell’innocenza di T*** B***, nonché del bandire o meno la versione depotenziata di NITA™, DAIMON™, dal mercato dei giocattoli (questione quest’ultima che in fondo pare di secondaria importanza - anche se per T*** B*** pareva al contrario essere fondamentale - dato che già da prima dell’inizio del processo pareva cosa accertata che con ogni probabilità il mercato su cui DAIMON™ verrà dirottato sarà quello medico).

Nonostante nel processo contro la fabbrica di giocattoli fossero in gioco questioni etiche e economiche di primaria importanza, per non parlare della sua stessa libertà personale, l’atteggiamento di T*** B*** davanti ai giudici e le sue dichiarazioni sono stati decisamente ambigui, “ai limiti della cialtroneria” secondo l’esasperata espressione utilizzata dall’accusa, e onestamente bisogna riconoscere che le sue ipotesi per spiegare l’insorgere di NITA™ prima e persino della versione “controllata” DAIMON™ nella successiva fase di produzione e collaudo del gioco in effetti sembrano più allusioni alla possibile esistenza di una qualche spiegazione, da qualche parte, che non vere e proprie e positive spiegazioni. Quello che in ogni caso pare di poter dare per certo è che tra le due manifestazioni la differenza fondamentale sarebbe che NITA™ si sarebbe manifestata appunto come un bug, un insetto imprevisto del gioco che avrebbe portato ad un certo punto della storia il personaggio di Little John a nominare questo fantomatico e non stendhaliano [sic, ma in effetti non dumasiano (cfr. infra)[/robinudiano (cfr. infra)]] personaggio; al contrario (ovvero, quasi al contrario) DAIMON™ sarebbe stato prodotto in maniera semi-controllata (quando l’accusa ha chiesto a T*** B*** di spiegare il significato della formula “semi-controllato”, T*** B*** ha allargato le braccia sorridendo e ammiccando al comitato scientifico presente in aula, come se l’accusa avesse fatto la domanda più idiota del mondo, come a dire vedete con chi mi tocca parlare, che giustizia potrà mai uscire da qui se non si rendono nemmeno conto di quello che è il nostro lavoro), ovvero ricreando le stesse condizioni all’interno delle quali era insorta NITA™, ma programmando una serie di griglie o matrici probabilistiche che fungessero un po’ come “redini” (filo di ragno, bucce di banana, bava di centopiedi, calze di grafene, microtubi biovitaminici, fermenti virali derivati da muffe fossili --- scoperti, tali fermenti, da R*** R***, allievo di T*** B***, durante l’analisi al microscopio elettronico di un foglio minerale nel quale si era riscontrata una insolita “ipercristallizzazione delle corone delle amebe”) per imbrigliare il nuovo bug e renderlo per così dire più mansueto, così ha detto T*** B*** usando un tono da nonnetta che racconta le favole ai bambini, tono che in ragione delle reazioni innescate ha reso necessario un ennesimo riaggiornamento del processo.



Pubblicato sul n 55 di Nuova prosa, aprile 2011

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