giovedì 22 dicembre 2011

Paesaggio con fuga

Lucio Klobas, Anni luce, Effigie, Milano 2010

Cominciamo dalla fine, dal virtuosistico capitolo sui paesaggi.
In conclusione di un libro dedicato alle memorie d'infanzia, prende corpo "il lato sbagliato del ricordo". Paesaggi sconvolti, defilati e discreti, minori, nebulosi, paurosi, silenziosi, incresciosi, diroccati, distrutti, superstiti, tormentati, vuoti e abbandonati  mostrano il loro volto impressionante, ma possono trasformarsi e diventare "molteplici paesaggi immaginari", invisibili, trasparenti, limpidi, inesistenti, scomparsi, paesaggi fantasma.
Lascio la parola all'autore di queste bellissime descrizioni.
"Paesaggi inesistenti (mai esistiti) si proteggono a vicenda disponendosi in cerchio, sembrano l'ombra rotonda di se stessi che gioca su un terreno che non c'è, vagano curvi sulla neve, si riparano dove è possibile, formano incroci pericolosi con altri paesaggi inesistenti, anzi non passano inosservati: restano." (p. 153)
"Viceversa i paesaggi brulli e anonimi, esistenti o inesistenti, tolgono smalto ai colori naturali, strappano la prima e la seconda pelle delle cose (grattano), scavano incessanti, tracciano fossati e confini, fanno sembrare lecito e regolare tutto ciò che è illusorio e ingannevole." (p. 153)
"A questo punto i molteplici paesaggi anonimi, visibili e invisibili, scomparsi e ritrovati, si riflettono l'uno nell'altro moltiplicandosi in modo esponenziale come nel gioco degli specchi…" (p. 155)
"Dietro ai paesaggi invisibili spesso s'insediavano paesaggi trasparenti (ci mettevi la mano dentro e non riportavi nessuna sensazione tattile), mentre dietro ai paesaggi trasparenti svettavano paesaggi perfettamente limpidi, più limpidi dell'aria limpida, esangui: la sommatoria di tanti fenomeni labili e sottili produceva comunque effetti moltiplicatori sorprendenti, magici." (p. 151)
"Il vento e i molteplici paesaggi travolti dal vento, rotolano abbracciati sulla pianura (un abbraccio innaturale, mortale…" (p. 156)
"I paesaggi scomparsi definitivamente, naufragati o altro (neve su neve e poi ancora neve), urtano (procurano danni materiali) altri paesaggi scomparsi mandandoli in rovina (purtroppo), ossia aggravando ulteriormente le rispettive debolezze. L'inevitabile urto annienta entrambi, frantuma mondi imperfetti, storie incompatibili tra di loro, proibizioni inutili, velleitarismi di maniera, inoltre prefigura altri possibili disastri mai abbastanza temuti: eventi sempre annunciati ma mai accaduti, eventi temuti ma mai abbastanza patiti." (p. 158)
"I paesaggi girano su se stessi come uccelli neri (danno questa impressione), rinnovano il loro aspetto nero ad ogni giro (ma non è sempre così), mostrano le loro innumerevoli facce nere cattive, le loro molteplici ferite da volo radente (sempre nero): non tralasciano e non trascurano nulla, neppure chi soffre e non possiede speranze a causa loro." (p. 162)
"L'inverno perpetuo fa piccoli passi perpetui, procede con calma e sicurezza perpetue, fa ampi giri concentrici perpetui, incede sistematicamente, elimina tutto quanto rallenta la sua corsa perpetua…" (p. 164)
"Effettivamente la distruzione sistematica e completa dei paesaggi (di tutti i paesaggi) azzera ogni tipo di pensiero, anche il più costruttivo e farneticante…" (p. 165)
Ed ecco che "vivere dentro un blocco di ghiaccio giorno e notte, induce verosimilmente al pianto, al livello più infimo e tortuoso del pianto, alle radici profonde del pianto, solo a quelle." (p. 148)
Rappresentazioni esplicite o implicite di un ambiente desolato, di un inverno che potremmo dire assoluto, costituiscono le premesse del romanzo. I significativi accenni a una stagione inclemente e duratura, a un freddo che stronca ogni timida forma di vita nascente ci rendono partecipi di quello che verosimilmente fu il punto di partenza di questa famiglia, lo sfondo su cui si stagliano i protagonisti e la loro storia di fuga. Il freddo spietato e il dolore suo compagno finiscono per trasformare la realtà troppo dura in narrazione grottesca e surreale delle peregrinazioni di questi migranti.
Per la mitica fuga da cui scaturisce il romanzo tuttavia i motivi potrebbero essere tanti e nessuno, a tal punto che essa sembrerebbero rispondere a un destino generale dell'umanità: "E' come affermare che tutto il mondo vorrebbe fuggire da questo mondo, cioè che tutto il mondo vorrebbe fuggire da se stesso: la cosa è reciproca e ingarbugliata, difficile dire come andrà a finire. Comunque i nostri fuggitivi notturni (marito e moglie) si aggregano alla strana e variegata popolazione in cammino nella notte (invero molto disordinata), che è in viaggio da sempre (che è sempre stata in viaggio da sempre), che si dirige verso tutti i luoghi possibili, con le consuete devastanti privazioni tipiche di certe imprese senza senso." (p. 35)
Addirittura, variando e divagando intorno al tema, il narratore ci mostra i due fidanzati, futuri giovani e bellissimi genitori, mentre si preparano a fuggire dalla fotografia che li immortala per sempre nella posa della felicità. Una sotterranea inquietudine contamina tutto, persino la narrazione che vorrebbe uscire dal binario di una trama lineare per slanciarsi in varie possibilità di trame accennate e intrecciate.
E nello stesso tempo la situazione diventa mitica e universale, così come altamente simbolica è anche la composizione della litigiosa famigliola: padre vizioso, madre scontenta, fratelli gemelli sempre in contrasto l'uno con l'altro, cane e gatto preoccupati o bastonati. I personaggi, litigando continuamente fra loro per i motivi più vari o anche senza motivo, talvolta muoiono ma subito rinascono, poiché il libro vive in una dimensione onirica.
"Intanto loro (i morti) vivono con noi promiscuamente, vivono dentro di noi (come si sa), vivono finché viviamo noi s'intende (né più né meno), vivono con noi e per noi, in sintonia con noi, almeno in linea di massima…" (p. 64)
"Un giorno ho sognato i miei genitori che si erano rifugiati provvisoriamente dentro un mio sogno lasciato a metà e quindi inservibile e abbandonato ancora caldo. Li ho sognati mentre lo completavano, lo abbellivano, lo arricchivano di oggetti di varia natura e funzione, tutti utili per arredare una vita futura (un sogno bellissimo il loro, romantico, tenero, cortese, insomma un vero sogno maturo e adulto!)." (p. 102)
La surrealtà salva la realtà su un altro piano, ma il conflitto rimane (non c'è scampo) nella forma della narrazione. Questa è continuamente interrotta, inceppata da parentesi e commenti talvolta irrisori e contraddittori della stessa voce narrante. Così come nel romanzo il protagonista ha un polemico fratello gemello pronto a negare o a mettere in discussione le proprie affermazioni, un narratore ironico e beffardo fa il verso a se stesso e si mette volentieri, lui per primo, in gioco, si sfida continuamente, è maestro d'ironia.

27-2-11 sul blog di Luigi Grazioli Fuori tempo massimo

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