Mi si accusa da tutte le parti di essere troppo polemica.
Capirei se vivessimo in un mondo in cui quasi tutto fila liscio o va per il
meglio… E mi limito a dire: quasi tutto… Ma finché non sarà così, non vale la
pena che si facciano sentire persone critiche, polemiche, dubbiose, puntigliose,
combattive, bastian contrari, addirittura blasfeme e molto di più?
lunedì 28 gennaio 2013
giovedì 24 gennaio 2013
Che mestiere fanno gli scrittori?
In alcuni casi è durato tutta la vita,
trenta-quarant'anni; in altri magari solo pochi mesi poi è cambiato. Ma il
lavoro spesso non è una libera scelta. Questi sono i mestieri che diversi
scrittori hanno raccontato d'aver fatto per sbarcare il lunario o per mantenere
sé e la famiglia: operaio, operaio emigrato, portiere, metronotte,
trasportatore, cameriere. Appartenendo anch'essi al genere umano, condannato a
guadagnarsi la vita col sudore della fronte, com'è noto, è capitato loro di
svolgere anche mansioni umili, cosa che accade quotidianamente a miliardi di
persone e si rivela utile a conoscere aspetti significativi dei rapporti umani,
lo sfruttamento, l'ingiustizia sociale.
Il luogo di lavoro è il luogo in cui maggiormente
si esprime la sopraffazione e lo sfruttamento.
Per non parlare dei colleghi… In genere hanno
interiorizzato l'imperativo dominante quindi si mostrano indifferenti, malevoli
o persecutori se contesti qualcosa e ti opponi alla volontà dell'azienda. Il
diverso in ogni caso è isolato e respinto.
Devono succedere proprio cose eclatanti per mutare
la situazione e almeno far nascere la solidarietà.
martedì 22 gennaio 2013
Grecia: restare vivi ma come?
Intervista a due
donne residenti in Grecia di Zoé Varier (France Inter)
Marie Laure
E’ un’interprete francese che vive e lavora da vent’anni nel nord della
Grecia.
ZV - Mi può spiegare in che modo
la sua vita è cambiata da quando il Paese è sotto sorveglianza finanziaria?
M - Praticamente da un punto di
vista finanziario non sono mai stata ricca, non avevo un bel conto in banca e così sono stata
colpita più duramente e più rapidamente di altri. Le condizioni di lavoro sono
peggiorate e i salari sono diminuiti.
ZV - E’ successo a lei
direttamente?
M - Sì, mi hanno proposto, per
mantenere il mio posto di lavoro in azienda, di inquadrarmi come operaia, con
qualificazione zero e salario corrispondente, mentre prima lavoravo come
assistente all’export, un posto qualificato che richiedeva la conoscenza di più
lingue. Risultato: lavoro ora a metà del mio salario precedente.
ZV - Quanto guadagna ora?
M - All’inizio della mia carriera
prendevo 1.400 euro e adesso ne prendo 780.
ZV - Da un giorno all’altro?
M - Sì.
ZV - E qual è la sua qualifica?
M - Ho un alto profilo: due
lauree e vari certificati di lingua.
domenica 20 gennaio 2013
Ex cavalieri, ex viaggiatori, ex flaneur
Che cosa è diventato il cavaliere in cerca
d'avventure nella narrativa contemporanea? Il vagabondo beckettiano, il relitto
umano che si sposta con le stampelle o
vive simbioticamente con i bidoni della spazzatura, l'alcolizzato disperato, lo
scarto sociale.
Caduti i miti e le possibilità stesse del grande
viaggio, in un pianeta diventato villaggio globale, della meravigliosa
avventura, della quete più o meno mistica, della ricerca del Graal; divenuto
sempre più raro l'atteggiamento non meno affascinante del flaneur, il
passeggiatore rilassato e solitario, scopritore di piccole epifanie nella
realtà quotidiana; resistono gli inquieti divoratori di strade cittadine vuote
e notturne, gli emarginati dormienti sulle panchine dei giardinetti, le mosche
da bar (mi scuso per flaneur senz'accento circonflesso).
L'uomo che dorme
di Georges Perec (Un uomo che dorme, 1967,
Quodlibet, Macerata 2009) si autoesclude dai rapporti sociali perché non li
regge più. Sono troppo pesanti da sopportare: "Se solo l'appartenenza alla
specie umana non fosse accompagnata da quest'insopportabile frastuono, se solo
i pochi, ridicoli, passi avanti compiuti nel regno animale non si dovessero
pagare con questa perpetua indigestione di parole, progetti, grandi partenze.
Ma il prezzo è troppo salato per due pollici opponibili, una stazione eretta e
una non completa rotazione della testa sulle spalle, questo gran calderone,
questa fornace, questa graticola che chiamiamo vita, questi miliardi di
intimazioni, incitamenti, moniti, esaltazioni e disperazioni, questo mare di
obblighi a non finire, quest'eterna macchina per produrre, macinare,
scialacquare, trionfare su ogni insidia e ricominciare da capo, questo dolce
terrore che vuole regolare ogni giorno e ogni ora della tua esile
esistenza!" (pp 44-45).
sullo scaffale
bartleby,
georges perec,
giorgio mascitelli,
herman melville,
letteratura,
samuel beckett,
sergio la chiusa
mercoledì 16 gennaio 2013
Gli italiani sono fascisti?
Torna carsicamente una vecchia questione: il
popolo italiano è intrinsecamente fascista? Aldo Busi parla di
"cattofascismo". Marco Rovelli asserisce su Facebook di aver
constatato l'esistenza di un incredibile spirito di sottomissione nei confronti
dell'autorità diffuso ovunque fra gli italiani, sia a destra che a sinistra. E'
una convinzione, questa, che ho udito affermare con amarezza perfino nelle sedi
di Rifondazione comunista. E secondo la mia esperienza c'è del vero. Un
fenomeno, che oserei quasi chiamare "culto del capo", l'ho osservato
nei luoghi di lavoro. Dev'essere qualcosa che ha a che fare con l'educazione,
con l'importanza dell'obbedienza, quindi in ultima istanza con l'amore per i
genitori. Quasi che a essere stati figli non si possa diventare niente di
diverso, si debba rimanere figli fino alla fine. Un problema diffuso in tutto
il mondo, se queste sono le premesse psicologiche. Ritorniamo al discorso più
volte citato dell'infantilismo coltivato ad hoc da un potere persistente, quasi
inamovibile, di stampo feudale e con maggior forza persuasiva dai più giovani,
pimpanti, galvanizzati mass media cantori del capitalismo (rimando ai testi di
Jean Baudrillard cui si fa riferimento su questo blog nell'articolo "Re
mago re o re maschera?"). In Italia probabilmente è accentuato
dall'immobilismo sociale, dal forte divario economico, dal carattere ingessato,
patriarcale che conservano certi ambiti (sistema universitario, libere
professioni trasmesse di padre in figlio, prassi della raccomandazione ecc.).
lunedì 14 gennaio 2013
Aristocrazia, oligarchia, democrazia nella Repubblica delle lettere
Che la Repubblica delle lettere sia un'aristocrazia non
v'è dubbio; molto difficile metterlo in discussione (una democrazia non può essere perché la società è divisa in classi e non tutti hanno lo stesso accesso alla conoscenza, le medesime possibilità di sviluppare i propri talenti eccetera eccetera). Il governo dei migliori,
cioè la loro capacità creativa o critica, è avallato dalla qualità dei testi
prodotti e dal solido legame dimostrato col passato. Perché in sostanza la
selezione dei migliori dovrebbe avvenire in base al confronto col passato (quale altra pietra di paragone abbiamo se non il passato?): se un autore
si dimostra all'altezza di questo confronto, può dialogare coi suoi pari, altrimenti no).
Quando però la selezione avviene in un circolo
vizioso anziché virtuoso, cioè non avviene sulla base di criteri qualitativi
(seppure rivedibili e discutibili nel tempo) ma su altri criteri più legati
alla convenienza, alle alleanze, allo scambio di favori… in questo caso i
migliori non saranno i migliori e la Repubblica avrà il carattere odioso dell'oligarchia.
Al giorno d'oggi non so se qualcuno legga ancora
libri. Il pubblico sembra più interessato ai personaggi, meglio se televisivi,
che al testo prodotto; alle personalità degli autori che agli scritti in sé.
Persino dei premi Nobel molte volte si sente più parlare per quello che hanno
fatto che per quello che hanno scritto, per la loro encomiabile militanza, per
il ruolo simbolico che hanno rivestito, piuttosto che per l'eccezionalità dello
stile. Persino quando nascono le grandi querelle letterarie il conflitto sembra
innescato più da una questione etica che specificamente relativa all'arte. Come
se alla fine fossero i rapporti umani quello che conta più di ogni altra cosa.
venerdì 11 gennaio 2013
Oppure trama come scambio di sguardi...
I romanzi sono costruzioni psicologiche, rapporti fra personaggi o, nei casi limite, dialoghi dell'autore con se stesso. Oggi va molto di moda l'autobiografia o l'autofiction o il romanzo della propria formazione, del proprio (difficile) successo, in una società che ha fatto del singolo individuo e del successo un ottimo cardine intorno a cui ruotare. Io preferisco le trame tramate, anche con buchi o smagliature, anche con perdita di fili nei vari labirinti, ma in cui compaiano gli altri, in cui s'incontrino i vari, i molti, i diversi. Nemmeno nel genere autobiografico manca l'incontro del singolo con gli altri, beninteso, ma uno degli elementi che più mi affascina nella narrativa è proprio la tensione proiettiva o immaginativa, che più si distacca dai meri dati di fatto. Quindi una distanza, quanto maggiore possibile, dal vissuto dell'autore.
Per analogia, non ho voluto che questo sito fosse semplicemente un diario pubblico delle mie personali disavventure, ma una raccolta di voci (anche di esordienti, di emarginati, di esclusi) in materia di rapporto fra letteratura e società.
Per analogia, non ho voluto che questo sito fosse semplicemente un diario pubblico delle mie personali disavventure, ma una raccolta di voci (anche di esordienti, di emarginati, di esclusi) in materia di rapporto fra letteratura e società.
Iscriviti a:
Post (Atom)