domenica 29 giugno 2014

Nipotine di Virginia

Si tende a dire che le scrittrici sono meno sperimentali degli scrittori, per costituzione (femminile) più conservatrici, meno portate all'esplorazione, all'avventura, al nuovo. C'è del vero, per questioni antropologiche e storiche.
Non mancano tuttavia le eccezioni, come quella della celebre Virginia.
Mi è già capitato, su questo sito e altrove, di citare per gli aspetti sperimentali Marosia Castaldi (nel post Inventio) e il brillante caso della giovane Heather Mc Gowan (nel post Splendidi tessuti).
Inoltre, felice scoperta, sfogliando le opere delle ultime generazioni (italiane!) mi è capitato d'imbattermi nella notevole originalità stilistica di Emmanuela Carbé. (Mi scuso con le autrici che non ho letto, che non mi è accaduto d'incrociare mai su riviste, antologie o nella grande e dispersiva rete, autrici che sicuramente esistono, stanno sperimentando, stanno lavorando magari con risultati interessanti ma che nessuno o pochi sono arrivati a conoscere.) Si sarebbe detto che, soprattutto a causa del potente influsso conformistico del mercato editoriale, oltre che per la situazione storica di particolare stallo, immobilismo, riflusso, gli ultimi decenni non avrebbero potuto produrre grande innovazione. Invece qualche fermento c'è, magari non proprio sotto i riflettori offerti dalle maggiori case editrici, come dimostra l'ampia e articolata antologia La terra della prosa, curata da Andrea Cortellessa e uscita per i tipi dell'Orma (Roma 2014), che pesca abbondantemente da medi e piccoli editori.

domenica 15 giugno 2014

Nuclei libidici

Sono convinta (e non sono la sola) che nelle opere letterarie e artistiche vi siano dei "nuclei libidici", dei centri emotivi nevralgici che rendono attraente il testo sia per lo scrittore sia per i lettori.
Prendiamo in considerazione un autore generalmente considerato molto freddo, Italo Calvino. Nelle Città invisibili (Einaudi, Torino 1972) la fantasia subliminale potrebbe essere quella della donna fatta a pezzi disseminati in ordine sparso. Ai cavalieri inesistenti e ai visconti dimezzati nell'immaginario calviniano ben s'accompagnano le donne invisibili, o meglio le donne multiformi, inafferrabili, evanescenti evocate in uno dei romanzi più sibillini e affascinanti dell'autore in questione. Nel groviglio urbano di un mitico, favoloso impero cinese medievale il filo che si dipana e s'insegue nei vicoli esotici e misteriosi appartiene al gomitolo dell'eterno femminino. Dietro la metafora della città si cela il fantasma della donna.
L'esempio più lampante della stretta parentela fra città e femmina è rappresentato da Zobeide, la città-gomitolo: "Questo si racconta della sua fondazione: uomini di nazioni diverse ebbero un sogno uguale, videro una donna correre di notte per una città sconosciuta, da dietro, coi capelli lunghi, ed era nuda. Sognarono d'inseguirla. Gira gira ognuno la perdette. Dopo il sogno andarono cercando quella città; non la trovarono ma si trovarono loro; decisero di costruire una città come nel sogno." (p 51). Si trovarono loro, gli uomini; la donna resta separata, a parte. Così in Armilla. Non lontano si trova Armilla, fatta di sole tubature, le cui padrone sono ninfe e naiadi: "Può darsi che la loro invasione abbia scacciato gli uomini, o può darsi che Armilla sia stata costruita dagli uomini per ingraziarsi le ninfe offese per la manomissione delle acque". (p 56).

martedì 3 giugno 2014

Il romanzo sperimentale col senno di poi

Se pensiamo ad alcune eminenti espressioni del romanzo sperimentale anni sessanta, recentemente rievocato e riattraversato da letture critiche nel ricco volume Gruppo 63. Il romanzo sperimentale. Col senno di poi (L'orma editore, Roma 2013), per esempio a Hilarotragoedia di Manganelli, Partita di Antonio Porta o Tristano di Balestrini, osserviamo che tendevano a privilegiare, per molti validi motivi in quel periodo storico, una posizione scissa, schizoide, violentemente frammentata del narrare e dello scrivere. 
L'esempio estremo di rottura è offerto dalle opere e dalle osservazioni di Giorgio Manganelli, che hanno l'aggressività e la virulenza in qualche caso di veri e propri attacchi al legame, o attacchi al seno (al seno-romanzo e al seno-fiaba*), se vogliamo usare una terminologia psicanalitica. Si legga quest'osservazione di Fausto Curi riportata a p 245: "... l'oltranza della scrittura in Manganelli  ha una profonda radice psicologica e biologica, una violenza vitale e mortuaria. Manganelli scrive per vendicarsi, le impennate, gli attorcigliamenti, gli ingorghi del linguaggio hanno qualcosa di acre e di furente, la pagina è insaziatamente amara, cinicamente compiaciuta."