Cartongesso di
Francesco Maino (Einaudi, Torino 2014): ecco un romanzo di quelli che hanno il
fuoco dentro. Questo fuoco è la rabbia, una furia polemica che colpisce a
raffica la categoria degli avvocati, di cui il
protagonista narratore fa parte, il suo ambiente, la cittadinanza, i politici
locali, la piega che ha preso la politica negli ultimi decenni, in modo
particolare nella regione Veneto ma in generale nell'Italia tutta, chiamata qui
spesso e volentieri Itaglia, con
allusione alla sua ignoranza atavica, alla sua degenerazione totale.
Il
protagonista ci fa sapere fin da subito che, collaterali alla sua principale attività
lavorativa, ha svolto altri lavori al fine della sopravvivenza fisica e morale,
tipo l'aiuto-becchino. Questa comparsa, nelle prime pagine della morte vista in faccia, ci introduce in
un contesto angoscioso e tragico.
Durante
il romanzo il protagonista, la morte, la invocherà addirittura, per sé o per
altri, talmente gli pare pesante la situazione che deve sopportare giorno dopo
giorno immerso in una realtà che lo disgusta.
Innanzitutto
veniamo a sapere che nella sua professione di avvocato, combatte
battaglie non sue e ha già perso invece la sua propria guerra. Combatte
sostanzialmente per far avere permessi di soggiorno ai clandestini con diritto:
"Litigo furiosamente per un niente,
non credo in niente, mi batto per qualcosa che non so, per un tutto che si
chiama e si dice laleggeèugualepertutti
(…) con coraggio costituzionale, credo, con il mio stile rabbioso, senza
scorciatoie, a viso aperto, poche parole, parole franche, a mani nude, ardito
sui generis, a modo mio. Avvocato analfabeta di prima linea, ragazzo della
Piave, senza lesinare energie, senza furbizia precoce, senza elmetto, mi
conquisto tre (3) foglie dignitose
messe insieme e ricevute dai clienti irregolari o clandestini, i soldi del
soldato…" (p 38). Oppure combatte per farli uscire, quando possibile, da
un carcere-tortura orrendo, com'è a quanto pare il carcere ai giorni nostri.
"Il sistema penitenziario è la dimostrazione precisa che la pena detentiva
ha fallito. Esso produce e conserva odio, spirito vendicativo, frustrazione,
cattiveria primitiva. Non ha alcuna efficacia riabilitativa, non punta a
evitare recidive. Punta a rinforzare gli assassini. Rincuorare le merde. (…) Le
carceri sono tritacarni arrugginiti, solo che il macinato che se ne ricava è,
per l'appunto, un macinato umano di cui la macelleria Zottarel non riuscirebbe
a piazzare un solo etto nemmeno tra i cannibali più affamati della terra. (…)
Io, stringi stringi, sto dalla parte dei detenuti per partito preso, mi sento come loro, son come loro (…) Il reato
che hanno commesso è quello che penso di poter compiere anch'io, un giorno o
l'altro, non tra molto, sono ladro in potenza, assassino in potenza, ladro per
fame, assassino per giustizia." (p 102).