domenica 10 aprile 2016

Macchine immaginative di Mariano Bargellini

La metafora sottostante La setta degli uccelli di Mariano Bargellini (Corbo editore, Ferrara 2010) prendeva spunto da una visione cittadina (un intero condominio di Milano avvolto da pannelli pubblicitari su cui giganteggiavano le foto di uccelli predatori dagli occhiali griffati) per sviluppare l'intera realtà immaginativa del romanzo, ambientato appunto in un edificio quasi completamente chiuso e isolato con un suo supermercato interno e addirittura una sua cripta, la cui unica evasione possibile pareva costituita dal trasformarsi in uccelli, e di questi in anime trasmigranti, di diversi inquilini. Qui i volatili, gli uccelli-anime, avevano la funzione di elevare, liberare l'uomo incatenato ai falsi valori degradati della società-caverna che lo rinchiude.
Anche nel romanzo Giocare a mangiarsi (Effigie, Milano 2015), del medesimo autore, si parte da una visione: quella apocalittica, archetipica dell'invasione del mondo umano da parte d'insetti. Gli animali in questo caso arriverebbero per distruggere. Si scopre però non trattarsi propriamente di animali, che nel loro habitat naturale sarebbero sottoposti alle leggi ferree, equilibratrici della natura, bensì di avatar fuoriusciti dagli schermi dei nostri pc, in particolare da un videogioco alla moda che vede ogni sera l'intera collettività seduta al computer, occupata a fronteggiarsi, a duellare, a eliminarsi vicendevolmente con tecniche spietate mutuate dalla classe antica e fortissima degli insetti. Le caratteristiche vincenti di questi animali valorizzate dal videogioco di successo sarebbero la totale anaffettività, la conseguente spietatezza e velocità non intralciata da dubbi o ripensamenti, la grande varietà e adattabilità a ogni ambiente; caratteristiche efficacemente rappresentate dal rivestimento corporeo coriaceo e cheratinoso simile a corazza, oltre che dagli apparati connessi alla predazione ingegnosi e ipertecnologici.
Sull'albero della metafora centrale di un mondo invaso dagli insetti-contrappersone umane s'innestano altre trovate originali. 
Gli insetti sono simboli dell'homo tecnologicus. Il vecchio homo sapiens apparirebbe "tecnologicamente superato" e ansioso di mutarsi in forme tecnologicamente più avanzate.
“Io non ci vedo niente di apocalittico in questa moda degl’insetti ‒, m’ha obiettato Olimpia: ‒ C’è desiderio di modernità. D’accessoriare, forse, la macchina del proprio corpo di organi e membra nuove. E l’identificarsi con l’insetto rivela slancio verso il futuro, che siamo stufi di falsi problemi, di complicarci l’esistenza coi sentimenti. Vogliamo funzionare come esatti meccanismi. La matematica degli istinti, senza penose sbavature. In più, qui nella testa, un bel calcolatore infallibile. Sì, l’infallibile calcolatore di una macchina desiderante.” (p 105); “Io, invece, amo gli insetti proprio per la loro ignoranza ispirata e la loro precisione di anatomisti, tessitori, ingegneri, tornitori, scavatori di sapienti gallerie, mimi espertissimi a mimetizzarsi all’ambiente (stecchi foglie sassi), marconisti, ballerini che s’inviano dei messaggi coi loro balletti, con un alfabeto di figure geometriche disegnate danzando nell’aria, profumieri, macellai diplomati nei più vari tipi di macellazione, elicotteri viventi, meteorologi e sigarai. La loro professionalità pazzesca, e lo stile sobrio di ciascun’operazione in cui s’è specializzata, da milioni d’anni, la loro famiglia di appartenenza, questo m’intriga e mi incanta. Sì, per ciò li amo. Il pungiglione della vespa, al bruco, infligge nove colpi, non uno di più non uno di meno, uno per ogni anello del corpo, che si contorce e si dibatte, e ch’essa ‘vuole’ paralizzare, così da metterlo in dispensa vivo, per la sua prole di larve. Nove punture esatte, giusto nei gangli nervosi. E gli comprime la testa tra le mandibole, ma con delicatezza squisita, da ammaccargli appena il cervello, da procurargli solo torpore. Alla stessa maniera, spassionata e da professionista, il rinchite dei pioppi, che è un esperto di botanica e di anatomia della foglia del pioppo, l’incide lungo le sue nervature, la foglia nella cui lavorazione, ròbot perfetto e che non ‘sa’ sbagliare, lui s’è specializzato. E se la arrotola (si confeziona un sigaro, diresti) usando il suo rostro munito di spatola e certe zampe munite di un taglierino. Nel mio vivarium ne ho una coppia.” (pp 108-109). 
Nell’ultima puntata del programma Va’ dove ti porta il cuore si annuncia: "L’UOMO È TECNOLOGICAMENTE SUPERATO. DOMANDA: SI DEVE PRENDERNE ATTO E COMPIERE IL SALTO EVOLUTIVO, OVVERO DIVENTARE INSETTI? Hanno risposto (leggiamo subito la percentuale), hanno risposto sì…‒, LA NUOVA SCIENZA, L’ANTROPO-ENTOMOLOGIA, NON NE HA DUBBI: L’UOMO È TECNOLOGICAMENTE SUPERATO. IL NOSTRO CORPO MOLLICCIO, PRIVO DI MASCHERA E CORAZZA, COME SE CIÒ NON BASTASSE, MANCA D’ALCUNI ORGANI OPTIONALS E ACCESSORI, ESTROSI E CREATIVI, DEI QUALI È PROVVISTO L’INSETTO.” (p 218).
E nel finale trionfo degli insetti, da teatro dell'assurdo, la corsa delle automobili sulle strade intasate dal panico apocalittico è simile a uno sciame: uno sciamare di entomati automati che corre verso la scomparsa del genere umano: “Sì, erano i miei concittadini, la maggioranza del 100/100 di un sondaggio (il cui risultato, pur ora, gridò Sexy-Sarx), i miei concittadini uniformatisi in breve, non si sa come, a un dettato (a un Diktàt) scientifico e televisivo e trasformatisi in coleotteri. Non per caso in coleotteri, giacché codesto ordine di insetti è il prototipo ideale della moderna automobile, da quando la sua carrozzeria s’emancipò dal fiacre e dalla diligenza. Oggi la Smart, quell’automobilina così smart, tocca il culmine della somiglianza. È naturale che degli automobilisti tutt’uno colla loro auto (imbozzolati nel suo abitacolo per la più parte della giornata, loro chelonio, la sua carrozzeria), ora, pedine di un videogioco, di un delirio ch’è straripato dai monitor, si siano rinserrati in qualche cosa che le assomiglia. Che assomiglia a quella nana elegante. E siano diventati coleotteri.” (p 227); “Io mi trovavo bloccato in mezzo alla festa (muta di clacson, per fortuna!) dei coleotteri-automobile. Ero rimasto intrappolato nella parata della metamorfosi, in un ingorgo mai visto a Milano.”(p 231).
La mutazione avviene in un mondo umano già corrotto, i cui preziosi valori umanistici sono da tempo in declino: la letteratura ridotta a spot-romanzi, la pubblicità ultimo approdo dell'arte, dominio generalizzato della televisione e dello spettacolo. Il celebre panegirico dell'umanista Pico della Mirandola (De hominis dignitate) alla grande versatilità umana, alla capacità camaleontica di diventare ogni cosa, di volere e poter essere tutto, lo confermeremmo noi oggi, lo sottoscriverebbe il suo autore ai giorni nostri? Ecco l’ultimo risultato che la storia ci presenta, ecco l’ultima trasformazione: l’ammirevole camaleonte-uomo si è “rinserrato in un sarcofago radioso, munito di ogni comfort e automatizzato.” (p 238).
Nel dialogo con la cimice decapitata (pp 135-140) viene sostenuto il paradosso, che i pubblicitari, incrementando la pulsione al consumo, spingano l’umanità globalizzata verso la rivoluzione anticonsumista, proprio perché un consumismo illimitato è oggettivamente impossibile. Così la cimice sofista, ben posizionata nei gangli dell’iperproduzione, si dà arie d’irriducibile ribelle.
Nell'ampia parte dedicata all'ambiente letterario viene inscenata un'ingegnosa resurrezione di mummie che ricalca in chiave grottesca l'operetta leopardiana di Federico Ruysch: qui è descritta l'animazione di copertine di bestseller, divenute sarcofagi di autore e libro precocemente morti e incollati insieme ("…la vanità li ha cellophanati, che dico, li ha inguainati e cementati nel loro mausoleo di carta? Un suicidio promozionale?" p 73). Durante la breve resurrezione loro concessa, questi bestseller-canòpi prendono a muoversi alla rinfusa, facendo sì che alcuni perdano il proprio legittimo autore, precedentemente rimasto appiccicato e fuso insieme con la sua propria opera, modellata con materiale escrementizio da uno scarabeo stercorario (degli autori di bestseller infatti è rimasto ben poco: solamente la foto del volto effigiato in copertina, mentre il corpo-mummia appartiene a scarabei stercorari). Lo scollamento fra autore e libro durante la momentanea rinascita comporta una buffa corsa dei vari autori dietro alle loro opere vaganti senza identità, tutte simili le une alle altre, composte di materiale scadente continuamente riciclato e scopiazzato ("… le deiezioni della nostra cultura forniscono materia in abbondanza ai còpridi per impastare ottima fiction. Palle gustose e commestibili. Un hamburger da fast food.” P 79).
Qui si sovrappongono due metafore, quella fra scrittore di successo e mummia e quella fra scrittore e scarafaggio.
Titoli di libri, titoli di programmi e spot televisivi sono spesso intercambiabili in questa società del prossimo futuro, specchio appena deformato della nostra, dove il lancio di uno spot-romanzo avviene durante uno spettacolino sexy un po' fiacco, ripetutamente interrotto da réclame di birre, che vede nelle vesti succinte di attori-protagonisti lo spot-romanziere e la sua fidanzata poetessa in una taverna milanese, noto locale letterario nonché night club e osteria.
Altro gruppo di capitoli è dedicato al tema della cura dell'immagine, quindi della chirurgia estetica e del mondo dello spettacolo. Gli ospiti della rinomata trasmissione Va' dove ti porta il cuore, superbamente ritoccati secondo la moda degli insetti da egocentrici chirurghi altamente competitivi, gradualmente diventano oggetto di una vera e propria metamorfosi, seguiti dallo stesso presentatore e dalla sua valletta sexy e anoressica. Più che un'allucinazione collettiva trasmessa dal mondo virtuale o una leggendaria invasione biblica, questa degli insetti assume la natura di una vera e propria mutazione genetica.
Finché non scompare pure il narratore protagonista, cronista della favola vera.
Il fabulatore-digitatore scompare lasciando la sua contrappersona cavalletta nell’unica realtà rimasta, “l’universo in espansione” del videogioco.
Su un asteroide perso nello spazio la cavalletta chirografa continua a scrivere, fabbricatasi dei papiri con le proprie exuviae: "E intuii, se non altro, quale impiego del mio tempo, libero ed eterno, io avrei fatto su quel pianeta di nebbia lucente. La mia spoglia pupale, io intesi, era la mia dotazione di carta. Ma bisognava sezionarla, in lunghe liste, in volumi, come corteccia di papiro. Lo richiedeva, infatti, l’operazione dello scrivere, a cui, d’ora in avanti, io mi sarei dedicato in sostituzione del fabulatore. Le mie exuviae, ora, sono calcate da tutt’e tre le mie paia di zampe, alacremente. Iconoclasta della mia icona, sfregiai e ritagliai il mio ritratto, impresso nel mio sacco exuviale, mantello vuoto e deposto che conservava la mia forma quasi scolpitasi nell’aria. Una cassetta di strumenti da scriba e da meccanico (in ciò mi si convertì la bocca) mi ha fornito l’occorrente: un paio di cesoiuzze, per il lavoro di fino, e due bei trincianti indispensabili per la trinciatura di quell’enòrme quinterno lieve come una pellicola, e diafano, ma duro come una tomaia, a inciderlo. A mo’ di trincianti adoprai le mie falci buccali e a mo’ di cesoiuzze un altro congegno dell’apparato masticatorio: queste zanne da ragno nascoste nella mia bocca tremenda. Beato me! Ho a disposizione un mucchio di papiri. Mi basteranno per un secolo! E dopo si vedrà.” (pp 255-256).
La cavalletta dunque continua a scrivere. Mi pare che il finale, seppure rifranto in un universo vuoto, ci rimandi ancora una traccia umana: il segno della scrittura. L’essere umano, inarrestabile camaleonte (“Nell'essere umano nascente il Padre infuse semi di ogni tipo e germi d'ogni specie di vita…” De hominis dignitate, Pico della Mirandola), straordinario plasmatore e scultore di se stesso, si conferma mirabile fino alla fine.

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