venerdì 5 maggio 2017

Intervista ad Angelo Ferracuti

Dopo l’intervista a Christian Tito, alcune domande ad Angelo Ferracuti, amico di Luigi Di Ruscio e curatore dell’edizione feltrinelliana di tutti i romanzi del 2014.


Angelo, tu sei un concittadino di Luigi Di Ruscio, operaio-poeta emigrato in Norvegia negli anni cinquanta e vissutovi fino alla scomparsa nel 2011. Sei riuscito a conservare con lui per lunghi anni un rapporto di reciproca stima e amicizia nonostante la lontananza. Vuoi raccontarci un aneddoto che ti piace ricordare della vostra lunga amicizia?

Ho conosciuto Luigi nel 1976, che ero un ragazzo, ma ne avevo sentito parlare sin da bambino perché emigrò con i miei zii a Oslo negli anni cinquanta, appartiene a un pezzo della mia mitologia famigliare. Cercavo una mia strada per la scrittura e a Fermo incontravo Luigi Crocenzi, il fotografo del Politecnico, Joyce Lussu, la traduttrice di Hikmet e una delle figure di spicco della Resistenza,  e anche lui quando tornava d’estate dalla Norvegia. In quegli anni aveva pubblicatIstruzioni per l’uso della repressione da Savelli, la sua poesia era al centro di un forte interesse da parte dei critici maggiori. Non sempre con Luigi le cose erano facili, soprattutto sulle questioni legate alla politica e all’ideologia, aveva anche un carattere forte, ma sono riuscito a mantenere con lui sempre un rapporto molto franco e affettuoso, cresciuto negli ultimi anni. Nel 1987 feci il mio primo viaggio di nozze in tenda canadese in Scandinavia, e quando arrivai a Oslo lo cercai, con sua grande sorpresa, e poi lo raggiunsi a casa sua in via Aasengata 4c. Passammo insieme dei giorni molto belli, accompagnò me e mia moglie al Vigeland park, all’Orto botanico, nei suoi luoghi, insomma. Quel Paese mi affascinò moltissimo, e sette anni dopo uscì il mio primo libro, una raccolta di racconti, che si intitolava appunto Norvegia. Credo che se non ci fosse stato lui non avrei mai scritto quel libro, e la sua condotta – a uno come me che viene dal basso ed è arrivato alla letteratura per vocazione – mi ha dato sempre una grande forza. Me ne rendo conto solo adesso che sono passati tanti anni.

Una vita di lavoro, quella di Di Ruscio, che fu occupato per una quarantina d’anni in una fabbrica di chiodi. Spesso la fabbrica nelle sue poesie è descritta come una realtà molto pesante da sopportare, per diversi aspetti disumana, cui Luigi contrapponeva una grande vitalità e la sua purezza di cuore. Poteva bastargli una corsa in bicicletta e la contemplazione della natura per rigenerarsi dopo un turno di notte. A me pare che sia stato una persona con grandi doti di carattere. Sei d’accordo?