lunedì 19 dicembre 2011

Re mago o re maschera?

Il capo è colui che elargisce favori, esaudisce desideri. Al super-capo, poi, si chiede pure l'impossibile, proprio lì sta il bello. Le sue prerogative hanno qualcosa d'inverosimile e in parte inspiegabile. Com'è possibile, per esempio, che sia così ricco? Eppure lo è. Da dove viene tutta quella ricchezza? Non si sa, la risposta fa parte della sua aura di mistero. Se gli manca l'immortalità, può contare tuttavia su una giovinezza intramontabile. Gli agi, il lusso, la mondanità, le occasioni, le cene ravvivano e allietano le sue giornate densissime d'impegni e d'imprese. Il super-capo non è mai stanco. Tiene a bada gli oppositori, espande la sua area d'influenza, accresce i tesori per sé e per i sudditi, soddisfa aspettative. Ed ecco che le donne si assiepano al suo passaggio… a decine, a centinaia lo circondano e corteggiano. Hanno una quantità di favori da chiedere per sé o per gli uomini che si celano dietro di loro in lunghe catene di aspettative. Se il capo riesce a soddisfare tutte quelle donne (simbolicamente tutte le donne), vuol dire che è certamente in grado di rendere felici tutti, no? Nei rapporti con il capo il desiderio circola in continuazione. Il capo mette in moto i desideri. A chi se non a lui si può chiedere di dirimere un'intricatissima storia di eredità e terreni contesi da generazioni, il permesso di edificare su spazi non edificabili oppure di sospendere un provvedimento già reso attuativo da varie sentenze? E' una fortuna che possieda in quantità smisurata tutto quello che tanti vorrebbero avere! Qualcuno con un bel po' di chance e con le entrature giuste seguirà le sue orme… il grande capo stimola fantasie di emulazione.
In epoca arcaica dovevano esservi dei "re-sacerdoti", sciamani e maghi, rappresentanti in terra delle divinità, incaricati di dominare gli eventi naturali e quindi facilmente accusabili di non riuscire a dominarli, puniti spesso e volentieri per un nubifragio o per la siccità, per questo o per quello. Immagine del padre e del divino, il capotribù in tempi preistorici si prestava a essere ucciso per via delle relazioni ambivalenti che generava: venerato nella speranza che gli dei fossero favorevoli ma ritenuto gravemente responsabile in caso di avversità e comunque circondato dall'invidia. Si può facilmente presumere che il singolare destino del capotribù venisse talvolta spostato su una vittima sacrificale, il capro espiatorio di turno, cannibalizzato e successivamente divinizzato nei culti dei popoli antichi secondo gli studi di René Girard (La violenza e il sacro, Adelphi 1980, Il capro espiatorio, Adelphi 1999, Miti d'origine, Transeuropa 2005 ecc.).
I capitribù e i capri espiatori dovevano essere due facce della stessa medaglia, mete privilegiate delle pulsioni dei singoli che, sfociando su un unico oggetto, venivano incanalate anziché disperse; cosa, quest'ultima, che sarebbe risultata particolarmente dannosa nel caso della pulsione mimetica aggressiva, la quale, se lasciata libera di fissarsi su più individui, avrebbe lacerato costantemente le piccole comunità in lotte fratricide.
Il capo del genere "re-sciamano onnipotente" abbacina i sudditi con l'illusione di poter operare miracoli. Lo guarda con venerazione un'umanità arcaica o infantile, incapace di andare oltre un'abnorme fase orale, una dipendenza e un'avidità senza limiti, dal momento che funzione primaria del capo padre primitivo resta quella di procurare da mangiare ai figli costantemente affamati, di parare le disgrazie, di essere enormemente ricco di risorse e generoso, buono e capace di perdonare persino l'odio inconscio che avverte su di sé (il capo Superman sa che tutti lo invidiano eppure, siccome è indistruttibile e gli altri in fondo sono solo dei bambini, ci sorride sopra e ci racconta pure le barzellette).
Nella raccolta di scritti di Slavoj Zizek contenuta nel volume America oggi. Abu Grahib e altre oscenità (Ombre corte, Verona 2005) si trova la tragica constatazione che "… si dà forse il caso che tutte le comunità debbano necessariamente essere basate sulla figura del Padrone (è questa la lezione di Freud in Totem e tabù) o comunque su un suo derivato…" (p. 59). Si cita come caso principe quello del passaggio, nel giro di pochi decenni, dallo zar a Stalin, con vertiginoso salto dei fondamenti egualitari della rivoluzione (in nome del culto della personalità). Pochi anni dopo la rivoluzione francese, Napoleone; pochi anni dopo la rivoluzione russa, Stalin! Come si spiega una tale incredibile tendenza regressiva? E' l'ombra lunga del complesso d'Edipo, affermano gli psicanalisti sulle orme di Freud, complesso che continua ad agire oggi come nell'età primitiva. Uccidendo interiormente il padre o desiderandone la morte per lunghi periodi dell'infanzia, secondo il Freud di Totem e tabù e del saggio su Mosè, ognuno sentirebbe il bisogno di onorare vita natural durante per incancellabile senso di colpa un suo sostituto, un capo sulla terra e un dio nei cieli.
In epoca non più preistorica ma storica il sovrano assume più nettamente i tratti del re-guerriero. Nel Leviatano di Hobbes, filosofo politico del Seicento, il potere non deriva dall'alto, da Dio, ma dal basso, dai sudditi, e il problema della gestione dell'aggressività umana all'interno del gruppo viene risolto in modo istituzionale. Al sovrano tutti i cittadini delegano in blocco la loro soggettiva violenza affinché non venga dispersa o scaricata nella vita quotidiana ma gestita adeguatamente ai fini della difesa o del rafforzamento della nazione. Il problema dell'aggressività nel patto sociale è così risolto demandandone l'uso a uno o più settori specifici, l'esercito e la polizia; concetto, questo della delega della violenza, ripreso in ambito psicanalitico nel Novecento da Wilfred Bion con la sua teoria dei gruppi di base (Wilfred Bion, Esperienze nei gruppi, Armando, Roma 1971).
E' il guerriero che diventa Padrone nella visione della storia di Hegel (La fenomenologia dello spirito, 1807), in virtù del fatto che rischia la vita in combattimento e dimostra in tal modo una superiorità nei confronti delle leggi di natura che gli animali non possiedono. Viene dunque riconosciuto come essere umano, capace di svincolarsi dai bisogni e dalla paura cui sono sottomessi gli animali, e ammirato dal Servo. Nella lunga durata della storia tuttavia si sviluppa una dialettica servo-padrone in cui viene dimostrato il valore inizialmente misconosciuto del servo: il servo, capace di lavoro, trasforma la natura e forgia un mondo completamente diverso da quello soggetto alle leggi naturali e alla violenza. La classe dei lavoratori col tempo s'impone su quella dei guerrieri poiché in grado di trasformare continuamente il mondo con la sola capacità produttiva, mentre la superiorità dei guerrieri resta legata alla distruttività. Hegel prefigura un'umanità fondata sul lavoro in cui ci si dà da fare per guadagnarsi la stima degli altri. Non si va più alla guerra ma si lavora. L'impegno, la fatica di capire e diventare quello che viene richiesto dagli altri, costa sacrificio, ridimensionamento delle proprie ambizioni di onnipotenza: il passaggio da una posizione infantile all'età adulta.
Secondo la prospettiva di Hegel e di Marx l'emancipata ed emancipante società dei fratelli lavoratori dovrebbe riuscire a distribuire uniformemente la ricchezza da essa prodotta.
Finora non è andata così. Al contrario i capitali, le ricchezze accumulate, anziché frammentarsi, polverizzarsi e ricadere su ampie fette di popolazione mondiale, si sono vieppiù rafforzati e concentrati in monopoli. Un'oligarchia di uomini d'affari acquista sempre più peso a livello internazionale. La figura del guerriero torna alla ribalta come colui che fa la guerra dei mercati, rischia un proprio capitale iniziale ingigantendolo a spese di altri meno forti nelle speculazioni di borsa o investendolo laddove si può guadagnare a minori costi con maggior esproprio di chi produce. Questa figura sociale si ripresenta nella variante meno nobile di chi difficilmente rischia molto di suo nella competizione per arricchirsi, mettendo in gioco solo parte del suo capitale in modo avveduto e calcolato.
Troviamo scritto nella Dialettica dell'illuminismo di Adorno e Horkheimer (datata 1947) che i capi somigliano sempre meno a dei padri, quanto piuttosto ad attori che recitano la parte di capi: "spazi vuoti su cui il potere è venuto a posarsi". E in effetti, se pensiamo a figure come Bush o Blair, ci torna alla memoria soprattutto quanto talento da attori abbiano mostrato negli anni della massima carica rivestita. Veri uomini di spettacolo, al tempo della guerra in Iraq dovevano sapere molto bene raccontare storie, inventare bugie se era il caso, avere una faccia buona per dire una cosa e magari essere smentiti dopo qualche tempo, spesso obbligati dalle circostanze a dare giustificazioni ma, per le falsità più grosse, a rinnegare l'evidenza.
Nell'Italia della prima Repubblica Andreotti appariva come una maschera, quasi una mummia egizia che sarebbe stata sepolta con tutti i suoi segreti
Berlusconi invece pare più simile a un capo arcaico secondo l'analisi dello storico Antonio Gibelli che, nel tentativo di definire fin da oggi un'età berlusconiana, riconosce al singolare personaggio potere e carisma "basato su fattori irrazionali e personali di tipo arcaico…" (Berlusconi passato alla storia. L'Italia nell'era della democrazia autoritaria, Donzelli, Roma 2010, p. 84). L'autore si era già occupato di alcuni tratti infantili del popolo italiano nel volume Il popolo bambino: infanzia e nazione dalla grande guerra a Salò (Einaudi, Torino 2005).
Ma il discorso sull'infantilismo delle masse a livello globale è stato affrontato, fra gli altri, dal sociologo Jean Baudrillard (Il sistema degli oggetti, Bompiani 1972; Il sogno della merce, Lupetti 1987, raccolta di scritti 1968-79; Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Cortina 1996 ecc.). Cito una frase dal Sogno della merce: "Ciò cui l'individuo è sensibile, è la tematica latente della protezione e della gratificazione, è l'attenzione con cui lo si sollecita e lo si persuade (…) Questa funzione materna e regressiva svolta dalla pubblicità rende quindi possibile che i consumatori, pur non credendo al prodotto, credano in fondo a quel messaggio euforico ed euforizzante presentato dalla pubblicità" (p. 5). Guarda caso viene presa in considerazione una società infantilizzata da televisione e pubblicità…
Viene da pensare che nei periodi di crisi le popolazioni si affidino di più a personalità carismatiche, da cui si aspettano il cambiamento, la salvezza. In misura minore, qualcuno ha osservato, per il caso italiano, che anche Bossi e Di Pietro rispondano ad analoghe aspettative.
Su scala internazionale invece un presidente come Obama, figura dal carisma indiscusso, è continuamente costretto a misurarsi, nella pur forte volontà innovativa e riformatrice, con le potenti lobby americane. Evidentemente nel mondo moderno il ruolo paterno e paternalistico delle personalità d'eccezione è sottoposto a notevoli attacchi e ridimensionamenti. Il capo che oggi abbia la vocazione dello sciamano e persino del demiurgo trasformatore deve comunque adeguarsi ai giochi dei ben più potenti signori della guerra (economica) internazionale.


(21-4-10, Direfarebaciare)

1 commento:

Anonimo ha detto...

*** BUONE FESTE ***
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