Ci
troviamo fra i numerosi corridoi intersecantesi di una grande casalbergo alla
periferia di Mosca negli anni di transizione fra il passato sovietico e la
Perestrojka, in un periodo di carenza abitativa e di passaggio alle
privatizzazioni di spazi, come questo, fino ad allora almeno in parte
considerato riparo per senzatetto e gente di passaggio: corridoi che, nella
dilatazione della loro immagine, diventano immagine
del mondo intero (p 28). “Attualmente ho il dono di percepire, anche
attraverso le porte, l’odore robusto che si spande, che stilla dai fragranti
metri abitativi e il viceversa debole, e ahimé effimero segnale, che dalla loro
superficie promana la sostanza uomo. (…) Io li
vedo. Li percepisco (i metri quadri) al di là del muro e della porta: avverto i
loro odori. Li aspiro e li riconosco.
Odorosi metri abitativi, sono essi ormai a costituire per me il volto
sfaccettato del mondo.” (p 30-31)
Il
narratore-protagonista dal nome dimezzato, solo patronimico, Petrovic, di Underground ovvero un eroe del nostro tempo
(traduzione italiana Jaca Book, Milano 2012), capolavoro dell’autore russo
Vladimir Makanin recentemente scomparso, è uno scrittore che ha smesso di
scrivere non essendo mai stato pubblicato, ritiratosi ai margini della società
come semialcolizzato clochard filosofo, che sbarca il lunario rendendosi utile
nella grande casalbergo in qualità di guardiano ora di questo ora di
quell’appartamento lasciato vuoto temporaneamente dai proprietari. Nella sua
posizione di saltuario custode, aiutante di anziani e donne sole in difficoltà,
egli si guadagna il rispetto degli altri (salvo rischiare di perderlo in alcuni
momenti critici delle privatizzazioni, quando abusivi e senzacasa fino ad
allora tollerati vengono buttati fuori): “Il mio status riconosciuto di
guardiano già mi trasformava; in particolare il viso e l’andatura. (Proprio
allora ho cominciato a percorrere i corridoi a passo lento, misurato, tenendo
le mani in tasca). Curiosamente, a partire dal momento in cui mi sono scoperto
guardiano e qualificato come tale, la gente ai vari piani della casalbergo ha
cominciato a considerarmi scrittore.
Come spiegarlo? Qualcosa è scattato in loro (nei loro cervelli). Ormai ai loro
occhi ero lo Scrittore, vivevo da Scrittore. Eppure sapevano e vedevano che non
scrivevo una riga. A quanto pare uno scrittore poteva farne a meno.” (p 190).